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In Georgia è un tabù parlare di depressione post-parto. Per fortuna le istituzioni stanno reagendo sia con lo stanziamento di fondi che con attività di sensibilizzazione al fenomeno

07/10/2019 -  Nino TopuridzeNika Kobaidze

(Pubblicato originariamente da Chai Khana )

“Sono una cattiva madre”, esclama Liana, donna georgiana di 37 anni, con una figlia di 7. “Me lo ripetevo ogni giorno durante i primi sei mesi dal parto di mia figlia”.

“Quelle parole mi traumatizzavano ed ho iniziato a punire me stessa sia mentalmente che fisicamente. Mi sono tolta ogni piacere, tra cui incontrare gli amici, mangiare o bere qualcosa che avesse un po' di sapore, rapporti sessuali”, continua. “Quando uscivo mi coprivo il viso con un cappello come se dovessi nascondere le mie mancanze di madre dallo sguardo della gente”.

Liana – che ora lavora su questioni relative all'educazione sessuale – ha poi scoperto che i suoi sintomi erano quelli della depressione post-parto.

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La paura di essere una cattiva madre è sia causa che sintomo di questa condizione. Secondo le linee guida pubblicate dal Royal College degli psichiatri, la depressione post-natale può colpire qualsiasi donna, a prescindere dal paese, dalle condizioni socio-economiche o dal suo vissuto religioso. Uno studio del 2018 ha fatto emergere che le donne in tutto il mondo non parlano volentieri della depressione post-natale in particolare per il timore che i loro figli possano essere portati via.

Anche nella conservatrice Georgia vi è un forte tabù nel parlare apertamente della questione. Ciononostante alcuni sociologi ed alcune mamme di questo paese del sud del Caucaso ritengono che è arrivato il tempo di rompere questo muro di silenzio.

Secondo il servizio sanitario nazionale della Gran Bretagna la depressione post-natale colpisce 10-15 madri su 100. I sintomi – che includono ansia, sonno disturbato, poca concentrazione, sentimenti di colpa e di poca considerazione di sé – possono essere amplificati dai cambiamenti ormonali in atto.

“Dopo il parto le donne sono pienamente coscienti della loro enorme responsabilità nei confronti del neonato”, sottolinea Tamar Tandashvili, professoressa di psicologia ed antropologia presso l'università statale Ilia di Tbilisi. “Realizzano che hanno un legame emotivo che non potrà essere più interrotto per tutta la loro vita, è un passo psicologico enorme”.

Aggiunge poi che le paure delle mamme e le loro ansie spesso le portano a fare tutto il possibile per il benessere del proprio bambino, anche a detrimento a volte della loro stessa salute mentale.

È stata l'esperienza di Khatia, madre di trent'anni con un bambino di tre, che ricorda di aver vissuto forti stati di ansia e di aver sofferto di attacchi di panico.

“Non volevo dormire perché pensavo che durante il sonno cose terribili sarebbero potute accadere al mio bambino”, racconta. “Non dormivo più di tre o cinque ore in tre giorni, ero immobilizzata dal panico e dalla paura. Quella condizione l'ha portata ad una pressione del sangue molto alta e la sua famiglia non ebbe altra scelta se non quella di iniettarle tranquillanti.

“Oltre al mio crollo mentale, la mia depressione è divenuta anche molto fisica”, continua. “Mi rifiutavo di fare la doccia, di lavarmi, di pettinarmi i capelli. Indossavo sempre la stessa t-shirt, con dei tagli in modo fosse più comodo allattare. E quando arrivavano attacchi di panico mi si diceva di calmarmi e che tutti avevano avuto un bambino!”.

Una narrativa di questo tipo, ricorda Khatia, è “latamente distruttiva” ma molto diffusa nella società patriarcale della Georgia.

Guga Grigolia, psicologo e docente all'Università nazionale georgiana di Tbilisi concorda sul fatto che i fattori culturali siano importanti per capire la depressione post-parto. “Studi recenti rilevano che la depressione post-parto è un fenomeno globale, ma fattori culturali variano da paese a paese”, spiega. “Per esempio l'individualismo vi potrebbe contribuire nei paesi occidentali, dove invece attitudini collettiviste potrebbero essere tra le cause che la influenzano nei paesi asiatici”.

Grigolia aggiunge che anche gli stereotipi riguardanti il corpo che si suppone perfetto mette pressione sulle donne in tutte le società.

Maia, trent'anni, madre di due figli, racconta che è questo che le ha causato molto stress. “Ho iniziato una dieta subito dopo aver partorito dato che ero salita molto di peso”, dice. “Ma non riuscivo a gestirla, aprivo il frigorifero e letteralmente mi mangiavo tutto. Cercavo di togliere le mie curve, anche se sapevo che era impossibile”.

Gli esperti concordano sul fatto che le politiche di sanità pubblica in Georgia hanno fallito nell'affrontare la questione della depressione post-parto.

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“Lo stato non riconosce la depressione post-parto come una patologia a se stante, con specifici bisogni”, afferma Ana Gvinianidze, direttrice di Psycho-Education Georgia, una ong che sostiene l'integrazione nella società di persone con problematiche di malattia mentale. Gvinianidze argomenta che le istituzioni dovrebbero adottare misure preventive tra cui visite e un programma per informare le donne sui problemi mentali che potrebbero seguire alla gravidanza.

Ciononostante, qualche progresso vi è stato. Nel dicembre 2018 il governo georgiano ha adottato il Decreto 693 che ha aumentato i fondi per l'assistenza a persone che presentano malattie mentali. Sono ora a disposizione ad esempio centri comunitari dove vengono offerte consulenze non a pagamento di psichiatri. Tamar Gabunia, vice-ministro per il Territori occupati, la Sanità e gli Affari sociali ha dichiarato che anche se il suo ministero non ha mai raccolto sino ad ora dati relativi alla depressione post-parto questo verrà fatto con il nuovo programma attualmente in atto. Inoltre è previsto che a medici di famiglia, ginecologi e pediatri dovrebbero essere inviate delle linee guida su come individuare i sintomi di depressione post-parto.

Dal ministero di aggiunge che seppur a livello ipotetico le madri dovrebbero essere già informate sulla depressione post-parto durante le visite in preparazione per il parto, ma non è facile garantire che questo venga fatto. “I medici sanno che devono comunicare queste informazioni ma è difficile renderlo obbligatorio ed ancor di più verificare se viene fatto”, chiarisce la vice-ministra.

Il maggior ostacolo rimane lo stigma rispetto al parlare apertamente della questione. Tutte le donne intervistate per questo articolo hanno sottolineato che non hanno mai parlato apertamente della loro condizione né hanno mai cercato assistenza medica.

Grigolia sottolinea che il primo e cruciale passo è quello di far crescere la consapevolezza relativa alla depressione post-parto sia tra le donne che tra gli uomini.

“Facevo finta di essere felice, come ci si aspettava che io fossi”, racconta Teona, 30 anni, madre di una bambina. “Ma questa facciata di felicità è ciò che mi ha distrutto di più”.

 


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