© Viacheslav Lopatin/Shutterstock

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Dopo oltre un anno di cessate il fuoco, interrotto da qualche scambio a fuoco sulle linee transfrontaliere, si è tornati a sparare in Nagorno Karabkah. Nonostante la presenza dei peacekeeper russi il 24 e 26 marzo scontri a fuoco hanno causato almeno 3 morti tra gli armeni

30/03/2022 -  Marilisa Lorusso

Per più di un anno in Nagorno Karabakh il cessate il fuoco concordato dopo il conflitto del 2020 ha retto. Ci sono stati scambi di fuoco fra Armenia e Azerbaijan, ma il più delle tensioni hanno riguardato i vecchi-nuovi confini fra i due paesi, cioè i confini di stato che Yerevan e Baku si sono trovate ad avere una volta che il cuscinetto del territorio del Karabakh come era uscito dalla prima guerra è stato rimosso.

Le profonde differenze fra gli scontri transfrontalieri e quelli nel territorio di quel rimane del Karabakh sono la natura del contendere, e la presenza o meno di una forza d’interposizione. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’assenza di un accordo sul perimetro dei confini è l’origine degli scontri transfrontalieri, anche se c’è un accordo di fondo sulla legittimità dei due territori separati. Armenia e Azerbaijan si riconoscono reciprocamente, ma non sono d’accordo su dove inizia uno e finisce di conseguenza l’altro. Per il Karabakh è diverso: l’Azerbaijan non ne riconosce l’esistenza. Non esiste per Baku quel territorio e quella specificità locale. Per Baku è tutto Azerbaijan e gli armeni che vi risiedono sono cittadini azeri che devono accettare la giurisdizione di Baku e temporaneamente vi sono dei peacekeeper russi.

Questo porta direttamente alla seconda differenza: sui confini di stato armeno-azeri non ci sono forze di interposizione, in Karabakh invece c’è un contingente di circa 2000 uomini di Mosca, sul cui operato però ora piovono critiche da ambo le parti.

L’escalation

Dal mese di febbraio le accuse di aver violato il cessate il fuoco si sono moltiplicate in Karabakh, nella zona in cui sono dispiegati i peacekeeper. Si è creata una zona di tensione intorno a Khramort (Pirlər), regione di Askeran, dove le autorità de facto dall’inizio di febbraio sostenevano che gli azeri sparavano verso la popolazione per intimidirla. Gli azeri hanno rimandato le accuse al mittente sostenendo che sul posto ci siano formazioni illegali armate armene. Nel cessate il fuoco del 9 novembre 2020 l’esercito secessionista non viene nominato in alcun modo, e per l’Azerbaijan è una formazione militare che non ha alcun fondamento legale, mentre nel bollettino dei peacekeeper l’esercito del Karabakh secessionista viene chiamato formazione militare.

A marzo la situazione di sicurezza è ulteriormente peggiorata: Khramort è stata prima evacuata e poi i suoi cittadini sono rientrati, mentre in numerose occasioni gli azeri con gli altoparlanti hanno allertato la popolazione armena ad andarsene. Dall’8 marzo poi il Karabakh è rimasto in gran parte senza gas. Un tubo è stato rotto o manomesso, i tempi del ripristino sono stati protratti, e poi il servizio è stato sospeso di nuovo. C’è la neve in Karabakh, senza gas si congela.

Gli armeni del Karabakh e di Yerevan accusano Baku di stare forzando un esodo con misure coercitive, come l’intimidazione, l’esclusione da servizi essenziali come il riscaldamento, le violazioni del cessate il fuoco. Baku nega e rinfaccia le responsabilità addebitandole alla condotta armena nei territori occupati fra il primo e il secondo cessate il fuoco, dal 1994 al 2020, e ricorda che il gasdotto è stato posato illegalmente.

Ma non ci si è fermati qui. La vera miccia è scoppiata fra il 24 e il 26 marzo dopo una trattativa fra peacekeeper e le parti. Nel tentativo di far de-escalare gli scontri in corso – che hanno causato almeno 3 morti fra gli armeni - a Parukh/Farrukh (Fərrux) sulle alture di Karaglukh/Daşbaşı, sempre Askeran, i peacekeeper hanno negoziato con le parti un ritiro dalle proprie posizioni. Gli armeni hanno di seguto liberato degli avamposti, mentre gli azeri non solo non si sono ritirati, ma sono avanzati, e controllano ora le alture di Daşbaşı.

Le implicazioni

È la prima volta dal cessate il fuoco del novembre 2020 che un così sostanziale movimento di truppe avviene nell’area del Karabakh. Ma è anche la prima volta che la parte azera mette in discussione l’implementazione del cessate-il-fuoco come è stata finora.

L’assertività azera si esplicita anche nelle critiche alle forze d’interposizione russa. Il bollettino dei peacekeeper del 26 marzo recita: “In violazione delle disposizioni della dichiarazione trilaterale, l'esercito azero è entrato nella zona di responsabilità delle forze di pace russe il 24 e 25 marzo. Sono inoltre stati effettuati 4 attacchi contro formazioni armate in Nagorno Karabakh da parte di droni Bayraktar TB-2”, una dichiarazione che secondo gli azeri non risponderebbe a verità perché appunto non esiste un'entità territoriale che porta questo nome secondo Baku, che richiama i peacekeeper ad attenersi alle posizioni del paese che li ospita – temporaneamente - come viene sempre sottolineato.

Nuovo botta e risposta poi sul bollettino del 27 marzo , dove i peacekeeper informano che “sulla base dei risultati dei negoziati, la parte azerbaijana ha effettuato il ritiro delle sue unità dall'area dell'insediamento Farrukh”. Puntuale la critica del ministero della Difesa dell’Azerbaijan: “[…]non sono avvenuti cambiamenti nelle posizioni dell'esercito azerbaijano nel villaggio di Farrukh e negli altopiani circostanti, che fanno parte dei territori sovrani del paese. Le informazioni sul ritiro delle unità dell'esercito azerbaijano da quelle posizioni non riflettono la verità. […] Anche la dichiarazione del ministero della Difesa russo secondo cui il cessate il fuoco sarebbe stato violato dall'Azerbaijan è falsa e non sono stati segnalati feriti tra i militari azeri. Ricordiamo ancora una volta che nel territorio dell'Azerbaijan non esiste un'unità territoriale amministrativa denominata "Nagorno Karabakh".

Insomma Baku si sente in condizione di dettare i termini della discussione. Una postura molto assertiva sullo sfondo di una Russia che appare in difficoltà in Ucraina. Ma anche di una nuova importanza strategica dell’Azerbaijan stesso, come fonte alternativa di idrocarburi a quelli russi nel quadro del regime sanzionatorio e di riposizionamento di medio e lungo termine dei paesi importatori occidentali.

E sull’operato dei peacekeeper si è interrogato anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, che il 25 marzo ha parlato con Putin chiedendo che venga investigato l’episodio e che si garantisca il ritorno alle posizioni precedenti al 24 marzo. Le alture interessate sono strategiche, l’Armenia è preoccupata. Molto preoccupata da quello che succede in Karabakh, e anche di quello che succede in Ucraina e di come questo potrebbe riverberarsi sulla sicurezza degli armeni.


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