Đorđe Balašević (Foto © Ivica Drusany/Shutterstock)

Đorđe Balašević (Foto © Ivica Drusany/Shutterstock)

Se n’è andato per sempre Đorđe Balašević (11maggio 1953 - 19 febbraio 2021), il più grande cantautore jugoslavo. Nel cordoglio si è unita quasi tutta la ex Jugoslavia: Zagabria, Sarajevo, Lubiana, Novi Sad, Belgrado, Skopje, dal Vardar al Triglav

23/02/2021 -  Božidar Stanišić

Quella sera di febbraio molti concittadini di Balašević si sono riuniti spontaneamente in Piazza della Libertà nella sua Novi Sad, accendendo candele e cantando le sue canzoni. Non c’era nemmeno una sola fascia nera da lutto. (95 anni fa moriva Claude Monet, il pittore della luce. Avendo notato che la bara con la salma di Monet era coperta da un panno nero, l’ormai ex primo ministro francese Georges Clemenceau, amico del pittore, gridò: “Niente nero per Monet!”.)

Non c’era alcuna fascia nera nemmeno a Zagabria in via Ilica, dove, accanto alle candele accese, è comparsa, per la prima volta dopo la guerra, una scritta in cirillico: бећарац(bećarac). Nello spirito della sua bonaria ironia e del carattere satirico che contraddistingue questo tipo di canto popolare della Slavonia, diffusosi successivamente anche in Vojvodina, Balašević cantava: “Se solo potessi percorrere ancora una volta la Ilica, per scarabocchiare bećarac in cirillico“.

La notizia della morte di Balašević ha sconvolto anche la Belgrado civile e altre città della Serbia, della Bosnia Erzegovina (sulla Vijećnica di Sarajevo è stata proiettata un’enorme immagine di Balašević) e dell’intera regione civile. Sottolineo quel “civile”, perché esiste anche un’altra regione ancora impantanata nelle trincee delle divisioni, della diffidenza e dell’odio, prigioniera di tutti quegli atteggiamenti a cui Đole si è sempre opposto. Un mio vecchio amico dei tempi della Jugoslavia mi ha mandato il seguente messaggio: “Se tu fossi qui, penseresti che Tito sia morto per la seconda volta!”.

Molti ammiratori di Balašević si sono riuniti anche a Pola. Fu proprio alla stazione ferroviaria di Pola che Balašević – come recita una sua canzone – incontrò Catherine, una ragazza francese di Digione. Sì, proprio a Pola dove un tempo viveva il campione di pugilato Mate Parlov. Quello stesso Parlov che una volta disse di non poter diventare nazionalista. Non poteva diventarlo, era un campione del mondo, e un campione del mondo non può abbracciare il nazionalismo. Durante un concerto tenuto molto tempo fa a Belgrado Balašević cantò la sua canzone “U razdeljak te ljubim” [Ti bacio sulla riga dei capelli] in onore di Parlov, sostituendo però la parola razdeljak con la parola levica [il pugno sinistro].

No, non c’era alcuna fascia nera da lutto in quella Jugoslavia che ormai non c’è più sulla mappa d’Europa ma è ancora presente nel Bene e nella Luce delle canzoni di Balašević che hanno sempre superato, e continuano a superare i confini tra i paesi della regione. La Jugoslavia continua a vivere nella voce di Balašević, una voce che molti hanno provato ad imitare, con buone intenzioni, ma senza alcun successo.

In nessun luogo. In nessun luogo.

In nessun luogo. Niente nero per Đole.

Esistono ancora le brave persone (seppur a volte confuse e impotenti). “Le guerre passano, le persone restano”, affermò Balašević nel febbraio del 1998 a Skenderija, durante il primo concerto tenuto a Sarajevo dopo la guerra. Questo evento costituì un primo notevole contributo all’idea della riconciliazione, del dialogo e della riconquista della fiducia dopo quella assurda guerra fratricida. Il giorno del concerto a Sarajevo c’erano molte automobili con targhe di tutti le regioni dell’ex Jugoslavia.

Anche le principali agenzie di stampa internazionali hanno riportato la notizia della morte del Marinaio della Pannonia.

Sembra che quella voce ignota che in Piazza della Libertà a Novi Sad ha intonato la canzone di Balašević “Kad odem” [Quando me ne andrò] abbia risolto un vecchio dilemma: un poeta e cantante che – grazie alla profondità, allo slancio e alla perfetta leggerezza dei suoi testi e composizioni – ormai da tempo si è insinuato nelle anime dei suoi lettori e ascoltatori, può morire o non muore mai?

Quando me ne andrò

Quando il diavolo mi accompagnerà lungo la strada principale

E quando il chiaro di luna coprirà le mie tracce

Non essere triste perché ad un certo punto ognuno

vede un piccolo usignolo muto posarsi sul gradino della porta.

Molto tempo fa, nel periodo immediatamente precedente la guerra in Bosnia, mandai su tutte le furie un noto poeta dicendo che nelle canzoni di Balašević c’era molta più poesia che nei libri dei “veri” poeti. Uno dei motivi che mi spinsero a pronunciare quella affermazione fu una canzone di Đole degli anni Ottanta intitolata “Samo da rata ne bude” [Basta che non ci sia la guerra] in cui aveva intuito l’arrivo delle nubi tenebrose sulla nostra patria comune. (Basta che non ci sia la guerra/la follia che divide le persone…). Ah come mi guardò quel poeta! Non so se ai suoi occhi io fossi lo scemo del villaggio o un fantasma di provincia che si era azzardato a pronunciare quella frase! Non mi rivolse più nemmeno una parola, nonostante stessimo seduti allo stesso tavolo. Lo scemo aveva ragione: quel poeta ha portato con sé nell’aldilà anche le sue canzoni. Anche oggi ripeterei quanto detto in quell’occasione.

Il piccolo usignolo muto sul gradino della porta è la metafora della morte, una metafora piuttosto complessa ma, al contempo, trasparente, talmente trasparente che sembra essere interamente fatta di luce e sogni. Prima di Balašević solo Crnjanski aveva espresso una riflessione così poeticamente profonda, affermando che “la morte non esiste, esistono solo le migrazioni”. E Van Gogh – mi permetto di parafrasarlo, rischiando di sembrare noioso – affermò che la notte può essere dipinta senza usare il colore nero.

Non intendo dilungarmi sulla biografia di Balašević, potete facilmente trovare tutte le informazioni su Internet. Tutte, dall’inizio della sua ricca carriera musicale con il gruppo Žetva [Raccolta] all’epoca sconosciuto, e poi con la band Rani mraz [La prima brina] quando Balašević aveva affascinato la nostra generazione (e non solo) con le sue canzoni – da “U razdeljak te ljubim” a “Panonski mornar” [Il marinaio della Pannonia] e “Računajte na nas” [Contate su di noi] – con cui in un modo così semplice, come nessuno prima di lui ci era mai riuscito, aveva lanciato un chiaro messaggio, affermando che era in corso una profonda crisi nel rapporto tra generazioni, più precisamente tra la generazione che aveva portato sulle proprie spalle il peso della guerra e della ricostruzione post-bellica e le giovani generazioni che non potevano più seguire ciecamente gli ideali del regime e l’ideologia dominante, pur continuando a nutrire rispetto nei confronti delle conquiste delle vecchie generazioni. Non c’era nulla di banale nemmeno nelle canzoni che Balašević aveva dedicato a Tito dopo la sua morte. “Ho visto il maresciallo Tito tre volte”… Troverete facilmente anche le informazioni sulla carriera solista di Balašević dal 1982 fino al suo ultimo respiro.

 

Dall’inizio degli anni Novanta non ha mai più cantato in pubblico la canzone “Contate su di noi”. Non c’era più nessuno su cui “contare” dal Vardar al Triglav. Le masse, come le oche perse nel buio, seguirono correndo la voce dei leader etno-nazionali. L’album di Balašević intitolato “Devedesete” [Anni Novanta], uscito nel 2000, è una peculiare sintesi delle sue posizioni politiche e le sue critiche soprattutto nei confronti di Milošević, ma anche nei confronti dei semplici cittadini che lo avevano appoggiato. “È colpa nostra”, questo il messaggio, molto chiaro, di Balašević. Purtroppo, la sua satira, aspra e acuta, è ancora oggi attuale.

O, non è colpa dei primitivi che hanno raccolto i frutti migliori

Erbacce crescono ovunque. Ma complimenti a loro.

È colpa nostra. Da dove vengono tutti questi parassiti che ci hanno messo alle strette?

Ecco perché in Serbia Balašević per molto tempo fu bandito dalla televisione e anche dalla radio pubblica. L’idiozia dei censori che siedono ai vertici dello stato – tanto più grande considerando che viviamo in un’epoca dominata da Internet, in cui ognuno può guardare e ascoltare qualsiasi cosa senza alcun limite – è nuovamente emersa dopo la pubblicazione della canzone di Balašević “Dno dna” [Il fondo del fondo] in cui critica l’attuale governo.

Oggi dico tutto questo, forse ragionando più col cuore che col cervello, ma non credo che Balašević con le sue idee politiche abbia schiacciato quel cantante e poeta dentro di lui che faceva coesistere nella sua musica e nella sua poesia diversi generi, dalla chanson agli antichi canti popolari della sua Vojvodina. No! È per questo che ricordo volentieri anche una sua canzone dedicata alla città di Novi Sad sotto le bombe Nato. Una canzone scritta da un uomo e musicista che non sapeva odiare, ma sapeva distinguere “la puzza” dal profumo.

E quando arriveranno “alcuni nuovi ragazzi” fischietteranno le canzoni del Marinaio della Pannonia. Quello che aveva messo nella cassa armonica della sua chitarra tutte le filosofie del Bene e del ripudio del Male su questo mondo che sta diventando un posto sempre più strano.

Il Marinaio della Pannonia ha intrapreso il suo ultimo viaggio. Che il mare gli sia calmo.


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