Ratko Mladić durante la lettura della sentenza di secondo grado l'8 giugno 2021

Ratko Mladić durante la lettura della sentenza di secondo grado l'8 giugno 2021

Le reazioni alla recente sentenza di condanna all'ergastolo per l'ex generale dell'esercito serbo-bosniaco Ratko Mladić hanno messo in evidenza come le società in Serbia e Bosnia Erzegovina siano ben lontane da un atteggiamento di tolleranza e riconciliazione. E ne sono responsabili le élite al potere

11/06/2021 -  Vukašin Obradović Belgrado

La sentenza definitiva a carico di Ratko Mladić, ex capo militare dei serbo-bosniaci, ha dimostrato ancora una volta che in Serbia non c’è alcuna sincera volontà di fare i conti con le conseguenze e le proporzioni del genocidio di Srebrenica. A determinare tale atteggiamento è stata innanzitutto la leadership al potere, ma anche i tabloid filogovernativi e quella parte della scena politica serba che si definisce “patriottica”. Sono stati loro a rappresentare Mladić come “un eroe”, sostenendo che la sentenza emessa a suo carico dal Meccanismo residuale per i tribunali penali internazionali sia frutto della faziosità del Tribunale dell’Aja e di una congiura internazionale contro i serbi.

Nei giorni precedenti alla lettura della sentenza, nell’opinione pubblica serba si avvertiva un certo disagio e il desiderio di dimenticare al più presto l’intera vicenda. La pressione della comunità internazionale e il fatto di dover confrontarsi ancora una volta con i crimini mostruosi commessi a Srebrenica sono stati percepiti come un fardello che la maggior parte dei cittadini serbi vorrebbe solo togliersi di dosso e far cadere nel dimenticatoio.

La leadership al potere, dal canto suo, si è comportata seguendo la logica del “controllo del danno”, stando ben attenta a non far infuriare quella parte dell’elettorato serbo che un tempo costituiva il nocciolo duro dei sostenitori del Partito radicale serbo (SRS).

A dare il tono generale alla retorica del potere è stato il presidente Aleksandar Vučić. Lo scorso 8 giugno, poco prima della lettura della sentenza definitiva a carico di Ratko Mladić, Vučić ha dichiarato che quello sarebbe stato “un giorno molto difficile per la Serbia”, poi nella serata dello stesso giorno, dopo che è stata confermata la condanna all’ergastolo per Mladić, il presidente serbo, rivolgendosi al Consiglio di sicurezza dell’Onu [riunitosi per discutere proprio dell’attività del Meccanismo residuale per i tribunali penali internazionali], non ha nemmeno menzionato Mladić né il genocidio di Srebrenica.

Nel suo discorso tenuto davanti al Consiglio di sicurezza, Vučić si è scagliato contro i membri dell’Onu che hanno criticato la Serbia per la sua riluttanza a collaborare con il Tribunale dell’Aja, accusandoli di applicare doppi standard .

“[Il Tribunale dell’Aja] ha condannato soprattutto i serbi, complessivamente a 1138 anni di reclusione, a cui vanno aggiunte otto condanne all’ergastolo. Al contempo, nessun croato è stato condannato per i crimini commessi contro i serbi durante le operazioni Medački džep, Bljesak e Oluja. Il tentativo del Tribunale di dare una parvenza di legalità a questo stato di cose è una mossa di astuzia politica”, ha dichiarato Vučić.

Alcuni analisti di Belgrado hanno definito il discorso pronunciato dal presidente Vučić davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu come un discorso “ad uso interno”, quindi rivolto soprattutto all’opinione pubblica serba.

“Ha parlato cercando di rendere le sue affermazioni accettabili per tutti i cittadini serbi. Credo che quello fosse il suo obiettivo. È il discorso più pragmatico e più normale che in questo momento possa giungere dalla Serbia”, ha affermato il giornalista Milivoje Mihajlović.

Anche la premier Ana Brnabić, annunciando quello che ha definito “un discorso storico” di Vučić all’Onu, non ha fatto alcuna menzione della sentenza a carico di Ratko Mladić, limitandosi ad affermare en passant che la Serbia si è impegnata a fare chiarezza su tutti i crimini di guerra, ad arrestare gli imputati e a condannare i responsabili di quei crimini. Un impegno che – stando alle parole della premier – la Serbia porta avanti ormai da tre decenni.

Il ministro dell’Interno e leader del Movimento socialista (PS) Aleksandar Vulin è stato uno dei pochi esponenti della compagine di governo ad esprimere una chiara posizione in merito alla sentenza a carico di Ratko Mladić, definendola “una condanna inflitta alla giustizia ”.

Vulin ha affermato che la condanna all’ergastolo per Mladić è una vendetta e che il Tribunale dell’Aja “ha definito i serbi come un popolo incline al genocidio, acuendo ulteriormente litigi e animosità tra i popoli dell’ex Repubblica socialista federale di Jugoslavia”.

Opposizione e società civile 

Anche l’opposizione si è dimostrata restia a commentare la sentenza a carico di Mladić. Consapevoli dei rischi a cui potrebbero andare incontro esprimendo la propria opinione in merito al verdetto contro Mladić, la maggior parte degli esponenti dell’opposizione ha scelto di rimanere in silenzio.

Nenad Čanak, leader della Lega dei socialdemocratici della Vojvodina (LSV), è uno dei pochi rappresentanti dell’opposizione – “vera” o “falsa” che sia – ad aver espresso una chiara posizione sulla sentenza Mladić, affermando che “il verdetto finale a carico del criminale di guerra Ratko Mladić, condannato all’ergastolo per il genocidio di Srebrenica e per crimini di guerra, impedirà che avvengano altri crimini”.

Per quanto riguarda la società civile, Nataša Kandić, fondatrice del Centro per il diritto umanitario di Belgrado, ha sottolineato che la sentenza nei confronti di Ratko Mladić riduce lo spazio per il negazionismo.

“La sentenza riduce lo spazio per le menzogne, le interpretazioni nazionaliste e la negazione dei crimini”, ha scritto Nataša Kandić sul suo account Twitter lo scorso 8 giugno, aggiungendo però che si tratta di una “vittoria di Pirro ”.

“Se la Serbia non avesse sostenuto finanziariamente e militarmente, moralmente e ideologicamente l’esercito i cui generali sono stati condannati per genocidio, non ci sarebbe stata né Srebrenica né Tomašica (la fossa comune nei pressi di Prijedor)”, ha scritto Kandić.

“Questa sentenza dimostra che Mladić, e non il popolo [serbo], è colpevole di genocidio, persecuzione e atti di terrore commessi a Sarajevo. La manipolazione dei fatti arriva dall’alto e non dalla gente comune. Dobbiamo dire che ci opponiamo alla manipolazione, la responsabilità grava su quelli che hanno commesso i crimini”, ha dichiarato Ivan Đurić dell’Iniziativa dei giovani per i diritti umani.

Reazioni in Bosnia Erzegovina

In Republika Srpska hanno prevalso le prese di posizione a sostegno di Ratko Mladić.

Il membro serbo della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina Milorad Dodik ha dichiarato che il verdetto emesso a carico di Mladić ha poco a che fare con il diritto e con la giustizia, aggiungendo che il Tribunale dell’Aja “non ha raggiunto il suo principale scopo, quello di rafforzare la fiducia tra i popoli [dell’ex Jugoslavia]”.

“Che giustizia è questa se Naser Orić, Ante Gotovina, Ejup Ganić, Atif Dudaković e tanti altri che hanno commesso crimini contro i serbi ascoltano [la lettura di] questa sentenza nelle loro case, in piena libertà”, ha chiesto polemicamente Dodik.

Stando alle sue parole , con la sentenza a carico di Ratko Mladić si vogliono raggiungere diversi scopi, tra cui quello di “preservare le carriere di quelli che hanno demonizzato il popolo serbo, sostenendo l’idea secondo cui i serbi avrebbero stuprato 60mila donne musulmane”.

Anche altri alti funzionari della Republika Srpska, tra cui la presidente Željka Cvijanović, il premier Radovan Višković e il presidente dell’assemblea parlamentare Nedeljko Čubrilović, hanno criticato duramente la sentenza all’ergastolo per Ratko Mladić, dichiarato colpevole di genocidio e crimini contro l’umanità commessi ai danni della popolazione non serba durante la guerra in Bosnia Erzegovina.

La presidente Željka Cvijanović ha dichiarato che il Tribunale dell’Aja, confermando la sentenza all’ergastolo per Mladić, ha dimostrato ancora una volta di essere un tribunale anti-serbo che tende ad accertare la colpevolezza per crimini di guerra non sulla base di prove, bensì sulla base dell’appartenenza etnica degli imputati.

“Se fosse altrimenti, alcuni dei più famigerati imputati comparsi davanti al Tribunale dell’Aja, come Naser Orić, Ramush Haradinaj e Ante Gotovina, e tanti altri dalle cui zone di competenza i serbi sono stati cacciati via per sempre, non ascolterebbero oggi la lettura della sentenza [a carico di Mladić] da uomini liberi”, ha affermato Cvijanović.

Nell’altra entità della Bosnia Erzegovina, la Federazione BiH, la condanna all’ergastolo di Ratko Mladić ha suscitato reazioni diametralmente opposte.

Il membro bosgnacco della Presidenza tripartita della BiH Šefik Džaferović, commentando la sentenza definitiva a carico di Mladić, ha dichiarato che “è importante che i suoi crimini siano stati chiamati con il loro vero nome davanti al mondo intero, così tutto il mondo lo ricorderà come un criminale di guerra e nient’altro”.

Džaferović si è detto rammaricato per il fatto che Mladić sia stato assolto dall’accusa di genocidio in altri sei comuni della Bosnia Erzegovina, sottolineando però che “la sentenza è importante perché permette di avere un’immagine completa della dirigenza militare della Republika Srpska, stabilendo che fu compiuta un’impresa criminale congiunta con l’obiettivo di creare territori etnicamente puliti”.

Emir Suljagić, direttore del Memoriale di Srebrenica, ha dichiarato che il fatto che il presidente serbo Aleksandar Vučić abbia definito il giorno della lettura della sentenza a carico di Ratko Mladić come un giorno “molto difficile per la Serbia” conferma che il genocidio di Srebrenica fu un crimine di stato.

“Questo ci dice che fu un crimine di stato . Manifesti, graffiti (a sostegno di Mladić)… Non sono gli individui liberi e irresponsabili a farlo. Lo fanno i gruppi che sono sempre legati a certe istituzioni e organismi statali. Negli anni Novanta lo faceva l’Agenzia di sicurezza interna, oggi lo fa la BIA [intelligence serba] o il ministero dell’Interno della Republika Srpska. Quindi, questa è una cosa che arriva dallo stato, così come i massacri arrivarono dallo stato”, ha dichiarato Suljagić.

A giudicare dalle reazioni, sembra che la condanna all’ergastolo per Mladić non abbia provocato, almeno non ancora, quell’effetto auspicato che lascerebbe intendere che i paesi dei Balcani occidentali si stiano muovendo nella direzione di una reciproca comprensione e tolleranza. Le élite politiche, dal canto loro, non hanno fatto quasi nulla per contribuire affinché la sentenza di condanna a carico di Mladić possa facilitare la riconciliazione. È proprio questo aspetto a preoccupare tutti quelli che hanno vissuto la giornata in cui è stata emessa la sentenza nei confronti di Mladić focalizzandosi sulla necessità di onorare le vittime del genocidio di Srebrenica, ma anche di tutti gli altri crimini commessi durante le guerre combattute nel territorio dell’ex Jugoslavia.


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