Un'immagine stilizzata rappresenta una famiglia ed al suo fianco un grafico a barre

© William Potter/Shutterstock

La popolazione della Croazia è in costante e rapido calo. E le aree più colpite dallo spopolamento sono quelle dove, alle recenti elezioni politiche, più voti hanno raccolto i movimenti populisti

22/07/2020 -  Klaudijo Klaser

Numeri significativi quelli che descrivono la diminuzione della popolazione croata: nel quinquennio che va dal 2014 al 2018 gli abitanti della Croazia sono passati dall’essere 4.238.389 all’essere 4.087.843, per un saldo negativo di oltre 150 mila persone, e corrispondente ad una riduzione del 3,55% sulla popolazione stimata nel 2014 (fonte dati DZS ).

Una percentuale che a prima vista può sembrare contenuta. Se però questa tendenza si consolidasse anche in futuro, nei prossimi 75 anni la Croazia potrebbe addirittura ritrovarsi con una popolazione residente dimezzata rispetto a quella odierna. Uno scenario quasi apocalittico, tuttavia, il quadro demografico appena ipotizzato non è poi così lontano dalla probabile realtà futura: le proiezioni ufficiali di Eurostat sulle dinamiche della popolazione dei paesi d’Europa mostrano come la popolazione croata diminuirà del 32% entro il 2100. Solo Lettonia (-44%), Lituania (-40%) e Romania (-34%) registreranno delle variazioni negative più consistenti. Secondo le medesime proiezioni, infine, l’Italia vedrà una riduzione della propria popolazione prossima al 15%, mentre Germania e Francia non registreranno variazioni demografiche sostanziali.

Saldo naturale e saldo migratorio

Tuttavia, la dinamica di decrescita degli abitanti residenti in Croazia avvenuta negli ultimi anni va contestualizzata scomponendo la variazione in almeno due fattori principali: da una parte vi è infatti il cosiddetto saldo naturale della popolazione – in altre parole nascite e decessi; dall’altra va preso in considerazione il saldo migratorio con l’estero – immigrati ed emigrati.

Prendendo in considerazione il primo dei due fattori menzionati, ossia il ricambio naturale della popolazione, nel periodo che va dal 2014 al 2018 la Croazia ha visto ridurre di quasi 75 mila unità la propria popolazione residente a causa di un numero di nascite costantemente inferiore rispetto a quello dei decessi registrati – un fenomeno che in generale interessa la maggior parte dei paesi sviluppati: nell’arco di tempo considerato in Croazia ogni anno si sono registrati in media 52 mila decessi e 37 mila nascite, numeri che assommati equivalgono ad un saldo demografico negativo di circa 15 mila unità in meno ogni anno.

Se si va a determinare il contributo regionale a questo saldo complessivo, si può vedere come nel 2018 il saldo negativo maggiore in termini assoluti lo hanno presentato le regioni Primorsko-goranska (-1.646), Osječko-baranjska (-1.547), Sisačko-moslavačka (-1.303) e Vukovarsko-srijemska (-1.004). Queste quattro regioni, nonostante insieme rappresentino solo il 21% della popolazione croata (complessivamente 864.426 abitanti nel 2018) incidono per quasi il 35% sul totale del saldo del ricambio demografico naturale registrato nel 2018 (-15.761). Dunque già da questi primi dati è possibile evincere la peculiare sensibilità di alcune regioni croate riguardo alla capacità di rinnovare la dimensione della popolazione attualmente esistente – fenomeno che sembra invece non interessare altre realtà territoriali croate, come per esempio la regione Međimurska, che negli ultimi anni ha registrato un saldo naturale che ha oscillato intorno allo zero (fonte dati DZS ).

Se si guarda poi all’altro lato della medaglia, ossia le migrazioni transfrontaliere, il quadro non cambia: nel quinquennio che va dal 2014 al 2018 quasi 175 mila cittadini croati – in egual percentuale tra uomini e donne – hanno abbandonato la propria terra d’origine. Se a questo numero noi sottraiamo le quasi 78 mila persone che dall’estero si sono trasferite permanentemente in Croazia, si giunge comunque ad un saldo negativo prossimo alle 97 mila unità, con il record negativo raggiunto nel 2017 (-31.799).

Come si può notare, nell’arco di tempo considerato, la somma del saldo migratorio e del saldo naturale (-170 mila circa) non combacia con la diminuzione della popolazione totale descritta all’inizio (-150 mila abitanti). Questa differenza va probabilmente imputata alle misure statistiche che stimano le migrazioni, che non possono essere altrettanto precise quanto quelle inerenti al conteggio delle nascite o dei decessi.

Al di là di questo dettaglio tecnico, dai dati messi a disposizione dall’istituto statistico croato risulta come nel 2018 oltre 39 mila persone abbiano definitivamente lasciato la Croazia. Il 59,3% di queste si sono dirette in Germania, e il 7% in Austria, mentre le restanti destinazioni sono frazionate su diversi paesi, principalmente europei. Se analizzati poi a livello regionale, i numeri sulle migrazioni del 2018 rivelano una dinamica simile a quella già vista per quanto concerne il ricambio naturale della popolazione. La regione Osječko-baranjska segna il primato negativo con un saldo negativo di 2.774 abitanti, seguita dalle regioni Vukovarsko-srijemska (-2.181), Brodsko-posavska (-1.451) e Sisačko-moslavačka (-1.335). La regione Primorsko-goranska presenta invece una differenza negativa di "sole" 612 unità. Se addizionate (-7.711), queste quattro regioni situate nell’entroterra della Croazia hanno contribuito al 57,1% del saldo migratorio complessivo del 2018 (-13.486 unità), nonostante nello stesso anno rappresentassero, con 850.127 abitanti, solo il 20,7% della popolazione totale censita. Risulta infine rilevante menzionare come nel 2018 le regioni Istarska e Dubrovačko-neretvanska siano state le uniche a registrare un sostanziale saldo migratorio positivo, di 904 e 300 unità rispettivamente (fonte dati DZS).

Migrazioni e politica

Soprattutto i dati sul saldo migratorio sono stati al centro del dibattito politico ed elettorale antecedente le ultime elezioni parlamentari tenutesi in Croazia lo scorso 5 luglio. La coalizione RESTART, che si candidava come alternativa al governo a fine mandato, e capitanata da Davor Bernardić, allora presidente della Socijaldemokratska partija Hrvatske (SPD), ha fatto persistentemente leva sull’ingente deflusso di popolazione croata verso l’estero come evidente misura di scontentezza dei cittadini nei confronti delle azioni intraprese dal governo del primo ministro Andrej Plenković, leader della Hrvatska demokratska zajednica (HDZ) e in carica dal 2016. Tuttavia, quello usato da Davor Bernardić sembra essere stato un termometro elettorale sbagliato, o se non altro guasto: gli elettori croati che si sono recati alle urne il 5 luglio (poco meno del 47% dell’elettorato attivo), su 151 seggi disponibili hanno assegnato 66 mandati al partito HDZ (37,26% delle preferenze) e 41 alla coalizione RESTART (24,87% delle preferenze totali). Questo significa che il partito di Andrej Plenković, rispetto alle precedenti elezioni tenutesi nel 2016, ha guadagnato 5 seggi in parlamento, mentre la coalizione RESTART, nel suo insieme, ne ha persi il doppio, cioè 10.

Certamente è lecito immaginare che il contesto imposto dal coronavirus possa aver influito sulla percezione del contesto politico da parte degli elettori, e dunque sui risultati di queste elezioni – basti considerare che i sondaggi condotti poco prima delle elezioni davano la coalizione RESTART in vantaggio sul partito HDZ – in media 33,2% contro il 30,8% rispettivamente. Inoltre, la partecipazione alle urne è stata inferiore di 12 punti percentuali a confronto delle elezioni precedenti. Dunque, un certo grado di distorsione è verosimile viste le condizioni eccezionali dettate dalla pandemia.

Tuttavia, Davor Bernardić e la coalizione di partiti che ha proposto sembrano aver sottovalutato la discesa in campo di un nuovo attore all’interno del panorama politico croato: Miroslav Škoro e il suo partito populista Domovinski pokret (DP), che ha conquistato 16 seggi in parlamento (10,89% delle preferenze). Le argomentazioni politiche di Miroslav Škoro sembrano infatti essere state in grado di intercettare in misura più efficace la frangia di scontenti delle regioni Brodsko-posavska, Osječko-baranjska e Sisačko-moslavačka e Vukovarsko-srijemska – quelle che hanno maggiormente sofferto le dinamiche migratorie in particolare e demografiche in generale descritte all’inizio. Infatti, andando ad analizzare in maniera puntuale i risultati delle votazioni all’interno delle singole unità elettorali, è immediato constatare come nella numero V, sezione che sostanzialmente si sovrappone alle aree appena menzionate, Domovinski pokret è stato, anche se di poco, il secondo partito più votato, con il 19,79% delle preferenze (fonte dati PNRI ).

Sia la coalizione RESTART, nell’analisi della propria debacle, che il prossimo governo Plenković, nel proprio programma post-elettorale, non potranno non tenere conto della evidente dinamica di correlazione tra decrescita della popolazione e crescita del populismo.


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